Il diritto all’oblio

Il diritto all’oblio

Nozione

    Il diritto all’oblio è il diritto ad essere “dimenticati” dall’opinione pubblica, a non essere più ricordati per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca.

    Si pensi, ad esempio, alla notizia dell’arresto di una persona: la pubblicazione della notizia è tutelata dal diritto all’informazione della collettività, ma, se dopo vari anni dalla fine del processo, l’articolo non viene aggiornato o rimosso, l’interessato rischia di continuare a subire, in modo ingiustificato, un’aggressione al proprio onore ed alla propria reputazione.

    Il diritto all’oblio, dunque, è espressione del diritto alla riservatezza (o privacy) e consiste nel diritto ad ottenere la cancellazione di dati personali che sono stati resi pubblici, attraverso la rimozione dei documenti e dei link che rimandano a un contenuto online che un soggetto ritiene dannoso (Cass. civ., Sez. III, 09/04/1998, n. 3679).

    Fondamento giuridico

    Il diritto all’oblio è (oggi) tutelato dall’articolo 17, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento UE 2016/679 (d’ora in avanti anche semplicemente “GDPR”), il quale consente all’interessato di chiedere la cancellazione delle proprie informazioni personali quando sono rese accessibili per un periodo superiore a quello necessario per il trattamento (sostanzialmente, ad opera del sito che ha pubblicato la notizia o del fornitore del motore di ricerca).

    L’articolo 17, paragrafo 1, del GDPR è formulato nei termini di un mandato chiaro e incondizionato rivolto ai titolari del trattamento: se le condizioni stabilite nell’articolo 17, paragrafo 1, del RGPD, sono soddisfatte, il titolare del trattamento «ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali».

    Tuttavia, l’articolo 17, paragrafo 3, del GDPR, indica i casi in cui la cancellazione non potrà essere richiesta, essendo il trattamento necessario. La prima di esse, contenuta nella lettera a), è relativa al trattamento necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.  

    La tutela del diritto all’oblio, quindi, va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e, quindi, di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica. Per cui, la richiesta di cancellazione deve fare i conti con l’equilibrio tra la tutela dei diritti delle parti interessate e la libertà di espressione, incluso il libero accesso alle informazioni.

    Dunque, se i diritti degli interessati prevarranno, in linea generale sull’interesse degli utenti di Internet ad avere accesso all’informazione (CGUE, causa C-131/12, sentenza del 13 maggio 2014, punto 99; CGUE, causa C-136/17, sentenza del 24 settembre 2019, punto 53), essi potrebbero, comunque, cedere in base alla natura dell’informazione, al suo carattere sensibile, all’interesse degli utenti di internet ad avere accesso all’informazione, che può variare a seconda del ruolo che tale persona interessata riveste nella vita pubblica.

    Si tratterà, dunque, di valutare quale sarebbe l’impatto di una privazione dell’accesso alle informazioni da parte degli utenti di Internet (CGUE, causa C-136/17, sentenza del 24 settembre 2019, punto 56 e seguenti) e se una tale interferenza con i diritti fondamentali dell’interessato sia giustificata dall’interesse preponderante del pubblico ad avere ancora accesso all’informazione.

    Tutela del diritto all’oblio: la deindicizzazione

    Il trattamento dei dati personali effettuato nel quadro dell’attività del fornitore di un motore di ricerca deve essere distinto dal trattamento operato degli editori dei siti web di terzi (come i mezzi di comunicazione) che forniscono contenuti giornalistici online.

    Posta questa distinzione, l’esercizio del diritto all’oblio, ovvero la richiesta dell’interessato di cancellare uno o più link verso pagine web dall’elenco di risultati che appare dopo una ricerca effettuata a partire dal suo nome indirizzata direttamente al fornitore di un motore di ricerca online e non all’editore del sito web che tratta i dati, viene chiamata tecnicamente richiesta di “deindicizzazione”.

    La “deindicizzazione” di un particolare contenuto, quindi, determina la cancellazione di tale contenuto specifico dall’elenco dei risultati di ricerca relativi all’interessato, quando la ricerca è, in via generale, effettuata a partire dal suo nome; il contenuto, invece, resterà, comunque, disponibile, se vengono utilizzati altri criteri di ricerca.

    Ad esempio, se un interessato chiede la rimozione dall’indice di un motore di ricerca di dati personali provenienti da un mezzo di comunicazione, quale un articolo di giornale, il link ai dati personali potrà essere rimosso dall’indice del motore di ricerca.

    Al contrario, l’articolo in questione resterà comunque sotto il controllo del mezzo di comunicazione e potrà rimanere pubblicamente disponibile e accessibile, sebbene non sia più visibile nei risultati di ricerca basati sulle interrogazioni che includono, in linea di principio, il nome dell’interessato.

    Anche perché, i fornitori di motori di ricerca che hanno ricevuto una richiesta di deindicizzazione da parte di un interessato non sono tenuti ad informare il terzo che ha reso pubblica tale informazione su Internet della richiesta.

    Ebbene, la Corte di Cassazione ritiene che il bilanciamento tra il diritto della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale, possa essere soddisfatto assicurando la permanenza dell’articolo di stampa relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria nell’archivio informatico del quotidiano, a condizione, però, che l’articolo sia deindicizzato dai siti generalisti (Cass. 27 marzo 2020, n. 7559).

    Similmente, si è reputato che la tutela del diritto consistente nel non rimanere esposti senza limiti di tempo a una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione sul web, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato, possa trovare soddisfazione – nel quadro dell’indicato bilanciamento del diritto stesso con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica – anche nella sola deindicizzazione dell’articolo dai motori di ricerca (Cass. 19 maggio 2020, n. 9147).

    Anche secondo Cass., sez. I, ord. 31-05-2021, n. 15160, nel bilanciamento tra l’interesse pubblico all’informazione, anche mediante l’accesso a database accessibili attraverso la digitalizzazione di una parola chiave ed i diritti della personalità suindicati, il primo diviene recessivo allorquando la notizia conservata nell’archivio informatico sia illecita, falsa, o inidonea a suscitare o ad alimentare un dibattito su vicende di interesse pubblico, per ragioni storiche, scientifiche, sanitarie o concernenti la sicurezza nazionale. Tale ultima esigenza presuppone, peraltro, la qualità di personaggio pubblico del soggetto al quale le vicende in questione si riferiscono. In difetto di almeno uno di tali requisiti, la conservazione stessa della notizia nel database è da reputarsi illegittima e lo strumento cui l’interessato può fare ricorso è la richiesta di “cancellazione” dei dati, alla quale il prestatore di servizi (nella specie Google) è tenuto a dare corso, anche in forza delle menzionate sentenze delle Corti Europee. Nelle ipotesi in cui sussiste, invece, un interesse pubblico alla notizia, l’interessato, i cui dati non siano indispensabili – non rivestendo il medesimo la qualità di un personaggio pubblico, noto a livello nazionale – ai fini della attingibilità della notizia sul database, può richiedere ed ottenere la “deindicizzazione”, in tal modo bilanciandosi il diritto ex articolo 21 Cost., della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale (Cass., n. 7559/2020).

    Richiesta dell’interessato

    Ad ogni buon conto, in assenza di una specifica richiesta da parte dell’interessato, le testate non hanno alcun obbligo di provvedere all’aggiornamento/cancellazione della notizia: “il gestore di un sito web non è tenuto a provvedere, a seconda dei casi, alla cancellazione, alla deindicizzazione o all’aggiornamento di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, anche se relativo a fatti risalenti nel tempo, se non c’è un’esplicita richiesta. Solo su domanda dell’interessato scatta per il gestore l’obbligo di provvedere «senza indugio” (Corte di Cassazione, sezione I, con sentenza del 7 marzo 2023, n. 6806; conforme, Cass., Ord. del 31 gennaio n. 2893/2023 e Ord. n.6116/2023).

    Reclamo

    In caso di rifiuto della richiesta di deindicizzazione, l’interessato ha il diritto di presentare un reclamo avverso il rifiuto da parte dei fornitori di motori di ricerca di deindicizzare link.

    Onde valutare i reclami riguardanti un fornitore di motori di ricerca che si è rifiutato di cancellare un particolare risultato di ricerca ai sensi dell’articolo 17 del RGPD, le autorità di controllo dovrebbero stabilire se il contenuto cui si riferisce un URL debba essere deindicizzato o meno. Nell’analizzare il merito del reclamo, le autorità dovrebbero quindi tenere conto della natura del contenuto reso disponibile dagli editori dei siti web terzi.

    La Corte ha altresì distinto tra la legittimità della diffusione di informazioni da parte dell’editore di un sito web e la legittimità di tale diffusione da parte del fornitore del motore di ricerca. La Corte ha riconosciuto che l’attività di un editore web può perseguire esclusivamente i fini giornalistici, nel qual caso l’editore web beneficerebbe delle esenzioni che gli Stati membri possono stabilire in questi casi sulla base dell’articolo 9 della direttiva (attualmente articolo 85, paragrafo 2, del RGPD). A tal proposito, nella sentenza «M.L. e W.W. contro Germania», del 28 giugno 2018, la Corte EDU indica che l’equilibrio degli interessi in gioco può produrre risultati diversi in base alla specifica richiesta – distinguendo tra i) una richiesta di cancellazione rivolta all’editore originario, la cui attività è il nucleo essenziale di ciò che mira a tutelare la libertà di espressione e ii) una richiesta nei confronti del motore di ricerca, il cui primo interesse non è quello di pubblicare le informazioni originarie sull’interessato, ma consentire in particolare l’identificazione delle informazioni disponibili su tale persona e dunque stabilire il suo profilo.

    Queste considerazioni dovrebbero trovare applicazione in relazione ai reclami concernenti l’articolo 17 del RGPD, dal momento che nelle decisioni in materia i diritti degli interessati che hanno chiesto la deindicizzazione devono essere valutati alla luce degli interessi degli utenti di Internet ad avere accesso all’informazione.

    Pertanto, «il gestore di un motore di ricerca, quando riceve una richiesta di deindicizzazione riguardante un link verso una pagina web nella quale sono pubblicati dati personali rientranti nelle categorie particolari (…), deve – sulla base di tutti gli elementi pertinenti della fattispecie e tenuto conto della gravità dell’ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta – verificare, alla luce dei motivi di interesse pubblico rilevante (…), se l’inserimento di detto link nell’elenco dei risultati, visualizzato in esito ad una ricerca effettuata a partire dal nome della persona in questione, si riveli strettamente necessario per proteggere la libertà di informazione degli utenti di Internet potenzialmente interessati ad avere accesso a tale pagina web mediante una ricerca siffatta, libertà che è sancita all’articolo 11 della Carta

    Per concludere, a seconda delle circostanze del caso, i fornitori di motori di ricerca possono rifiutare la deindicizzazione di un contenuto qualora possano dimostrare che l’inserimento di tale contenuto nell’elenco di risultati è strettamente necessario per la tutela della libertà di informazione degli utenti di Internet.

    LUCIO DI BIASE

    AVVOCATO

    Mobile: (+39) 335 325 917

    E-mail: info@studiolegaledibiase.it

    Negli ultimi venti anni ha aiutato privati, professionisti, imprese, cooperative ed enti pubblici a risolvere i loro problemi legali prestando attività di consulenza e assistenza nelle principali aree del diritto civile e nel relativo contenzioso su tutto il territorio nazionale.
    Dal 17/02/2014 all’11/03/2021 è stato consulente e legale esterno dell’ Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale (ATER) di Lanciano (CH) per il recupero dei crediti nei confronti degli assegnatari di alloggi di ERP a titolo di canoni di locazione degli immobili strumentali di proprietà dell’Ente e per il rilascio forzoso dei medesimi.

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