Un padre si rivolgeva al Tribunale per sentirlo revocare l’assegno mensile di mantenimento (€ 225,00) del quale era stato onerato in sede di divorzio, sostenendo che il figlio maggiorenne aveva fatto ormai da tempo il suo ingresso nel mondo lavorativo.
La domanda veniva respinta sul rilievo che il padre non aveva dimostrato la ricorrenza dei presupposti per il suo accoglimento, ovvero la condizione di autosufficienza economica raggiunta dal figlio (e non quella di prestare semplicemente attività lavorativa).
Il padre si rivolgeva, quindi, alla Corte di Appello, la quale, dopo aver ricordato che l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, evidenziava come giustamente il giudice di primo grado aveva valorizzato le circostanze che il figlio era ancora legittimamente (anche in relazione all’età) impegnato in un percorso di formazione specializzante e di acquisizione delle necessarie competenze da spendere in futuro nel settore lavorativo di riferimento, si era attivato con esito positivo nella ricerca di un’occupazione, pur non rispondente alla professionalità acquisita, alle proprie aspirazioni e al suo titolo di studio, percepiva un importo esiguo a titolo di retribuzione e il rapporto lavorativo era, comunque, precario.
Dunque, il figlio aveva dimostrato la volontà di “affrancarsi” dal mantenimento paterno e, quindi, la sua assoluta mancanza di responsabilità per il mancato ottenimento di un impiego tendenzialmente stabile nel tempo in grado di assicurargli un’effettiva autosufficienza reddituale, di certo non desumibile dallo svolgimento del suo lavoro “part time”.
Né il padre, del resto, aveva dimostrato che i suoi problemi di salute (dei quali pare che il figlio si fosse completamente disinteressato) si erano tradotti in un reale decremento reddituale rispetto all’epoca di determinazione dell’assegno di mantenimento indiretto del figlio.
Irrilevante, infine, era stata considerata la circostanza che il figlio avesse dichiarato al padre di voler rinunciare all’emolumento mensile, stante il carattere di indisponibilità del relativo diritto.
Il padre proponeva, infine, ricorso per Cassazione, che, tuttavia, veniva dichiarato inammissibile con l’ordinanza n. 3552 dell’11 febbraio 2025, con la quale la Suprema Corte, nel ribadire che
“la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti dev’essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa, nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, da parte dell’avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età”,
ha ritenuto che i giudici del merito avevano correttamente effettuato l’accertamento della insussistenza del raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio maggiorenne, accertamento non sindacabile in sede di legittimità.