Fallita l’unione tra i genitori, di comune accordo il padre si era obbligato a versare alle due figlie un contributo di mantenimento di € 550,00 mensili a favore di ciascuna.
Successivamente, sostenendo l’intervenuta autosufficienza economica delle ragazze, chiedeva al tribunale la revoca o la riduzione del contributo.
Il Tribunale dichiarava inammissibili le istanze del padre, il quale proponeva reclamo.
La Corte d’Appello accoglieva il reclamo, revocando l’obbligo di mantenimento nei confronti di entrambe le figlie.
Il giudice del reclamo evidenziava che, a distanza di 2 anni dal conseguimento della maturità, una delle due ragazze si era iscritta in vari corsi di laurea in Germania, senza dare alcun esame, se non una prova scritta in un seminario poco prima del termine del procedimento di primo grado, mentre l’altra aveva appena concluso, con un ritardo di 3 anni, la scuola professionale e, come apprendista, aveva comunque lavorato e conseguito un proprio reddito, seppur modesto.
In entrambi i casi, dunque, ad opinione della Corte di merito, mancava la prova dell’impegno e del successo nello svolgimento del percorso formativo-professionale, per cui doveva ritenersi insussistente l’obbligo di mantenimento in capo al padre.
Ricorreva in Cassazione la madre.
La Suprema Corte ha ricordato che, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al contributo sono a carico di chi lo richiede, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro.
Di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza e idonea a fondare il suo diritto al mantenimento. Viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26875 del 2010912023).
Dunque, l’esclusione del diritto mantenimento, che il giudice del merito è tenuto ad accertare sulla base dei fatti allegati e provati dal genitore che si oppone alla domanda di revoca, sono integrati dall’età del figlio – destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto, si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento – e dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio, oltre che dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass, Sez. 1, Ordinanza n. 38366 del 03/12/2021).
Ovviamente, tale accertamento deve essere effettuato non in astratto e in modo standardizzato, ma tenendo conto delle circostanze del caso concreto.
Secondo la Cassazione, il giudice del reclamo non aveva operato questa valutazione in concreto e nell’attualità, poiché, non solo non aveva tenuto conto che, al momento della richiesta di revoca, le ragazze erano giovani (avevano da poco raggiunto la maggiore età) ed avevano, comunque, deciso di impegnarsi negli studi, ma non aveva tenuto conto neppure della loro effettiva e attuale situazione personale ed economica.
In particolare, con riferimento alla maggiore, ferma l’obiettiva mancanza di indipendenza economica per il mancato svolgimento di attività lavorativa, la Corte d’appello aveva dato rilievo al fatto che al momento della decisione del Tribunale la ragazza avesse svolto un solo esame, peraltro, poco importante e avesse cambiato Università, ma non aveva esaminato quanto offerto alla decisione in sede di reclamo dalla ricorrente, in ordine agli esami poi sostenuti dalla giovane, una volta effettuato il cambiamento.
Anche con riguardo alla percezione di reddito da attività lavorativa da parte della figlia più piccola, che pure aveva avuto difficolta nel proseguire regolarmente gli studi, la Corte si era fermata a stigmatizzare la lentezza con cui la giovane aveva seguito il percorso formativo (verosimilmente quando era ancora minorenne), aggiungendo, poi, che la stessa aveva cominciato a svolgere attività lavorativa, senza valutare tale attività in rapporto alla sua formazione e alla possibilità o meno di considerare, per ciò solo, la ragazza autosufficiente.
Conseguentemente, con l’ordinanza n. 24391/2024, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso della madre, cassando il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’appello, in diversa composizione.