L’intervento del Giudice nella regolamentazione della crisi familiare
Il quadro normativo nella regolamentazione della crisi di coppia è costituito dagli articoli 337-ter e 337-quater, ai quali il giudice si attiene nell’assumere i provvedimenti riguardo alla prole e, in partcolare, nel definire il contenuto del diritto di visita del genitore non affidatario.
Tale quadro scandisce il prioritario diritto del minore a conservare, anche a seguito della separazione, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori; il che importa l’obbligo dalle figure genitoriali di collaborare, sia in senso materiale che in senso morale, affinché tale diritto del figlio possa concretamente realizzarsi.
L’esortazione rivolta dal legislatore ai genitori è quella di raggiungere, pure nelle difficoltà del momento, una soluzione condivisa nelle scelte dei figli animata dall’esercizio responsabile delle loro prerogative e, quindi, votato al supremo interesse dei minori.
Ove i coniugi raggiungano l’accordo, quindi, il giudice verrà chiamato solo a verificare che l’accordo sia votato al supremo interesse dei figli.
Al contrario, allorché manchi una scelta condivisa da parte delle figure genitoriali, procederà il magistrato a determinare, con ampio potere discrezionale, valutando “prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori” (art. 337-ter, 2° comma), tempi e modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, definendo un programma gestionale della prole personalizzato e tagliato su ogni singola situazione che tenga conto di esigenze, abitudini, stile di vita, età, personalità di ogni minore e di ogni genitore.
Conflittualità genitoriale
L’affido condiviso non viene messo in discussione in caso di alta conflittualità tra i genitori. La deroga a tale regime, infatti, richiede una oggettiva condizione di manifesta carenza o di inidoneità educativa tale da rendere in concreto l’affidamento condiviso di quel figlio altamente pregiudizievole per lo stesso.
Ne consegue che non possono trovare accoglimento le domande di affido esclusivo dove non vi siano elementi per ritenere un genitore più capace a tutelare l’interesse dei figli dell’altro ed essendo certo, invece, che l’atteggiamento di ostilità reciproca e la tendenza a screditare l’altro non consente in alcun modo di assicurare che il genitore cui fossero affidati i figli sarebbe in grado di tutelare l’altra figura genitoriale e il rapporto dei figli con il genitore non affidatario.
È da reputarsi insufficiente, ad esempio, per addivenire all’affidamento esclusivo, la mera conflittualità, ancorché aspra, tra i genitori. Nell’accogliere il ricorso avverso la decisione della Corte di Appello di Venezia che aveva disposto l’affido esclusivo in presenza di un conflitto insanabile tra i genitori, dello scarso interesse del padre per la minore e della posizione di questa di rifiuto nei confronti del genitore, osserva la Corte di Cassazione che il grave conflitto tra genitori, di per sé solo, non è tale da escludere l’affidamento condiviso (Corte di Cassazione, sentenza n. 1777 dell’8.2.2012).
L’affido monogenitoriale, insomma, non è attuabile ove non risulti che la conflittualità ponga in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli in maniera tale da pregiudicare il loro interesse
deve affermarsi l’intrinseca infondatezza della deduzione secondo cui, mentre si ribadisce che il provvedimento in materia di affidamento della prole deve essere adottato con riferimento all’interesse esclusivo della medesima, si richiede che siano desunti elementi di valutazione dal comportamento, anche processuale, di un genitore nei confronti dellaltro, di per se stesso privo di rilievo ai fini della relativa statuizione, ancorché sintomatico di aspra cohflittualità, ove non risulti che la stessa ponga in serio pericolo (circostanza neppure indicata nel quesito) l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, in maniera tale da pregiudica- re il loro interesse.
(Corte di Cassazione, sentenza n. 7477 del 31.3.2014).
Dovrà escludersi, invece, il regime dell’affidamento condiviso allorché la conflittualità tra i coniugi non si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole e si manifesti in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro superiore interesse.
È stato escluso, ad esempio, quando, a causa della totale incomunicabilità tra i genitori, l’affido condiviso si era rivelato assolutamente nocivo alla minore e possibile fonte di future patologie per la stessa, in quanto generante ansia, confusione e tensione.
Dall’esito della CTU, era emerso che l’affidamento condiviso si era dimostrato nocivo alla minore e possibile fonte di future patologie per la stessa, in quanto generante ansia, confusione e tensione, e, dunque, irreprensibilmente concluso per la sussistenza di condizioni pregiudizievoli al suo interesse.
(Corte di Cassazione, sentenza n. 5108 del 29.3.2012)
Fede religiosa
Posto che il Giudice deve sempre anteporre l’interesse materiale e morale della prole nell’adozione dei provvedimenti riguardanti i minori in sede di separazione e garantire loro il diritto soggettivo di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, i contrasti sulle scelte religiose dei coniugi non possono giustificare ex se deroghe al regime di affidamento condiviso.
Al contrario, fermo restando l’affido condiviso, il Giudice potrà (e dovrà) imporre dei limiti all’educazione religiosa dei figli in sede di separazione e, in particolare, durante i tempi di esercizio del diritto di visita.
Dopo la separazione in regime di affidamento condiviso del minore, battezzato e di religione cattolica, la madre si era convertita a un altro credo religioso cercando di coinvolgere il figlio in questa sua scelta. Di talché, pur mantenendo il regime dell’affido condiviso, il Giudice aveva imposto alla donna di non indottrinare il figlio imponendogli la sua nuova scelta religiosa.
La Suprema Corte, avanti alla quale la decisione era poi giunta, chiarisce che il Giudice adotta i provvedimenti riguardo ai figli in sede di separazione attenendosi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse della prole, “che assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull’art. 30 della Costituzione.”.
Occorre valutare, pertanto, con estrema attenzione il rapporto tra il diritto-dovere del genitore di educare e crescere moralmente il figlio, con il diritto del minore di formare liberamente la propria coscienza senza subire indottrinamenti forzati e contemperare la tutela dell’autonomia dei genitori e la garanzia dell’interesse del figlio.
Ove, in particolare, la tenera età dei figli non consentisse loro di praticare una scelta confessionale veramente autonoma, il Giudice, lungi dal negare o comprimere il diritto del genitore di professare la fede religiosa, sarà chiamato ad le prescrizioni ritenute più idonee per assicurare la corretta formazione psicologica ed affettiva dei minori.
Così, è stato ritenuto inopportuno, ad esempio, uno stravolgimento di credo religioso che non potesse essere elaborato con la necessaria maturità, anche in considerazione del fatto che i figli avevano vissuto fino a quel momento in un contesto connotato da credo religioso cattolico:
È legittimo il divieto imposto al padre separato di portare i figli minori, cresciuti in base ai dettami cattolici, alle celebrazioni della nuova fede abbracciata, quella dei Testimoni di Geova.
Corte di Cassazione, sentenza n. 24683 del 4.11.2013
Distanza geografica e mutamento di residenza
Come per la fede religiosa, l’oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude l’affidamento condiviso, potendo detta distanza incidere solo sulla disciplina dei tempi e dei modi della presenza del minore presso ciascun genitore, posto che la distanza geografica dei genitori è una circostanza che nulla ha a che vedere con la capacità genitoriale o con la idoneità educativa di un genitore rispetto all’altro.
Accogliendo il ricorso avanzato dal padre avverso il provvedimento con il quale la Corte di Appello, pur avendo rilevato che non erano in discussione le capacità genitoriali dei due genitori, entrambi adeguati e con un buon rapporto con la figlia minorenne, aveva disposto l’affidamento esclusivo della minore alla madre, in quanto l’oggettiva distanza esistente tra gli attuali luoghi di rispettiva residenza dei genitori precludeva la possibilità di un affidamento condiviso, gli Ermellini ribadivano il principio per cui alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, elemento, questo, del tutto assente nel padre, giudicato dalla stessa Corte ottimo e affidabile genitore:
…la distanza tra i luoghi di residenza dei genitori può, in linea di principio precludere la possibilità di un affidamento condiviso del minore solo quando si traduca in un comportamento, da parte di uno dei genitori, che escluda il genitore medesimo dal pari esercizio della potestà genitoriale, così da rendere non rispondente all’interesse del figlio l’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento.
Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 24526 del 2.12.2010
In sostanza, la distanza tra i luoghi di residenza dei genitori può precludere la possibilità di un affidamento condiviso del minore solo quando si traduca in un comportamento, da parte di uno dei genitori, che escluda il genitore medesimo dal pari esercizio della potestà genitoriale, così da rendere non rispondente all’interesse del figlio l’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento.
Diverso è il caso in cui il trasferimento del minore ad opera del genitore non rappresenti affatto una scelta motivata e legittima, attuata nell’interesse del figlio stesso, ma sia dettata da “cattiva genitonalità”, ovvero fondata su scopi ostruzionistici al diritto di visita dell’altro genitore o, più semplicemente, su moti egoistici che altro non fanno che pregiudicare il diritto del minore alla bigenitorialità.
Di recente Il tribunale di Vibo Valentia (sentenza 10/02/2016) ha revocato, ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., le precedenti disposizioni sull’affidamento e mantenimento dei figli minori, affidati a entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso la madre e determinazione dei tempi di permanenza col padre, a causa del comportamento della prima che ha deciso unilateralmente di trasferirsi in un’altra città, ostacolando il corretto svolgimento delle modalità di affidamento recando un pregiudizio ai minori e nonostante il padre si fosse già opposto nel corso del giudizio perché la distanza avrebbe reso difficile conservare un rapporto continuativo con un genitore e con i parenti paterni.
Si segnala, ancora, il caso di una madre condannata dalla Corte di Appello di Roma alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per avere sottratto la figlia minore di dieci anni ed eluso il provvedimento emesso dal Tribunale di Roma giacché, dopo alcuni anni dalla separazione dal marito, si allontanava dalla casa coniugale portando la figlia minore, all’insaputa e contro la volontà del marito, nel luogo suo di origine, ad Imperia, a 600 km di distanza, dove viveva la madre di lei, negando in tal modo al padre il diritto di fruire del regime di visita predisposto secondo le modalità e con le scansioni temporali stabilite dall’autorità giudiziaria in sede di separazione.
Prendendo le mosse dalle norme civilistiche degli artt. 337-bis/337-octies c.c., introdotti dal d.lgs. 28.12.2013 n. 154 e l’art. 316 c.c. e, in particolare, il terzo comma del nuovo art. 337-bis cc., il quale prevede che le decisioni di maggiore interesse per il figli, ivi compresa quella relativa alla scelta della residenza abituale del minore, siano assunte di “comune accordo” tenendo conto di una serie di parametri legati alle capacità, all’inclinazione naturale ed alle aspirazioni dei figli, la Corte condanna la madre che, per non ledere il diritto dell’altro genitore alla visita ed alla frequentazione della minore nel quadro delle disposizioni dettate in sede di separazione, avrebbe dovuto rivolgersi al giudice civile, sollecitando l’eventuale modifica delle statuizioni sulla base della di lei volontà di trasferirsi con la figlia altrove, vanno ascritti, secondo gli Ermellini, sia il reato di sottrazione di minore di cui all’art. 574 c.p., sia quello di elusione di provvedimenti del giudice concernenti l’affidamento di minori di cui all’art. 388 c.p., in concorso tra loro.
“…la condotta posta in essere dall’imputata non solo abbia impedito all’altro coniuge, per un arco temporale rilevante, l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà genitoriale, estromettendolo dalle scelte fondamentali riguardanti l’esistenza della figlia e mettendolo in condizioni di non poter mantenere con lei consuetudini e comunanza di vita, ma abbia anche determinato, al di fuori di situazioni imprevedibili e di carattere cogente, un improvviso stravolgimento del normale contesto di vita in cui la minore si trovava inserita … Affinché la condotta di uno di essi possa integrare l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 574 c.p., è necessario che il comportamento dell’agente porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell’altro genitore, sì da impedirgli l’esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all’affidamento, rendendogli impossibile l’ufficio che gli è stato conferito dall’ordinamento nell’interesse del minore stesso e della società’.
(Cass. pen., 29.7.2014, n. 33452).
Quanto all’art. 388 c.p., la giurisprudenza ha chiarito che il reato può consistere in qualunque comportamento, anche omissivo, volto ad ostacolare ed impedire di fatto l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione, da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui.
Di regola, quindi, la semplice inattività non può costituire la condotta “elusiva’ dei provvedimenti del giudice in materia di affidamento di minori, mentre può riconoscersi il reato solo quando è richiesta da parte del soggetto tenuto all’osservanza degli obblighi ingiunti con un provvedimento una certa attività collaborativa e questa venga ingiustificatamente negata (non a caso i casi segnalati in materia hanno tutti riguardo alla violazione dei doveri da parte del genitore collocatario, anziché dell’altro – Corte di cassazione, sezione penale, sentenza n. 43292 del 9.10.2013; Corte di Appello di Milano, sentenza del 9.6.2011).
“Cornice minima” di pemanenza
Nell’adottare i provvedimenti riguardanti la prole il Giudice si atterrà, innanzitutto, al principio della cd. cornice minima di permanenza, affinché sia sempre consentito ai figli di trascorrere con il padre dei fine settimana interi e tempi infrasettimanali, garantendo una certa continuità di vita in questi periodi (purché ciò non interferisca con una normale organizzazione di vita domestica e consenta la conservazione dell’habitat principale dei minori presso il genitore domiciliatario).
In regime di affidamento condìviso, la scelta in ordine ai tempi di permanenza dei figli presso l’uno e l’altro genitore è rimessa in primo luogo agli accordi tra i genitori, e Solo in difetto di accordo al regolamento giudiziale, che ha natura di sussidiaria e si limita a fissare la “cornice minima” dei tempi di permanenza. Tuttavia la cornice minima data dal gìudice deve essere pienamente adeguata alle esigenze delle famiglia e all’interesse dei minori»
Corte d’Appello di Catania, Sezione Famiglia, decreto del 16.10.2013
Posto che la relazione familiare è connotata, sul piano materiale, dal vivere insieme dei momenti, quali mangiare e dormire, che non si condividono con estranei, mancando il pernottamento non si condividerebbero le abitudini della vita quotidiana e la relazione diventerebbe diversa da una relazione familiare (salvi i casi, naturalmente, in cui vi sia il rischio di pregiudizio allo sviluppo fisico e psichico del minore, come in Cassazione Civile, sentenza n. 19594 del 26.09.2011, ove il pernottamento, nel caso in esame, è stato escluso fino al raggiungimento dei quattro anni di età).
Dovere di visita del genitore assenteista
L’esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario o non collocatario non costituisce solo un diritto o una facoltà, ma anche un vero e proprio dovere, fonte di responsabilità in capo a chi, non affidatario della prole, omette di esercitarlo, sia nei confronti dei figli, sia nei confronti del coniuge affidatario.
Nei confronti del figlio ogni volta che il minore subisce un vero e proprio danno, quale, ad esempio, la lesione della sua serenità personale, o un pregiudizio allo sviluppo della sua personalità.
Il disinteresse e l’assenteismo di un genitore rappresentano una violazione di quei doveri genitoriali che traggono la loro fonte a livello codicistico dall’art. 147 c.c., a livello costituzionale dall’art. 30 della Costituzione, potendo il diritto di visita considerarsi uno strumento in forma affievolita per l’esercizio del fondamentale diritto-dovere di entrambi i genitori di mantenere, educare, istruire la prole di cui alla norma costituzionale e dalla normativa internazionale attribuisce un ruolo determinante alla comune assunzione di responsabilità da parte dei genitori nel supremo interesse e tutela della prole, che comporta, appunto, che l’esercizio della potestà genitoriale (ora “responsabilità”) costituisce un diritto e, soprattutto, un dovere (Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo di New York del 1959 e alla Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 20.11.1989, resa esecutiva in Italia con Legge 27 maggio 1991 o. 176: “entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo”.
Tale violazione, pertanto, è idonea a determinare un danno ingiusto nella misura in cui provoca una lesione di un interesse superiore, ovvero una violazione dei diritti fondamentali inerenti alla qualità di figlio e, di conseguenza, a diventare fonte di un risarcimento del danno sia patrimoniale che non patrimoniale in quanto rappresenta un fatto illecito.
Il Tribunale di Venezia accertava che i comportamenti omissivi del padre avevano causato un pregiudizio nella figlia, non riconosciuta dal genitore, sempre assente dalla sua vita, incidendo negativamente sullo sviluppo della sua personalità e sulle scelte esistenziali inerenti la crescita della ragazza stessa.
La violazione del detto diritto fondamentale – il diritto alla educazione, alla assistenza non solo economica, comunque mancata – è stato in effetti reiteratamente violato: in effetti ne perdura, senza nessuna giustificazione, la violazione. La percezione di quanto sopra da parte della interessata, che in tutti questi anni non ha ricevuto alcun segnale da chi aveva, volente o nolente, che importa, contribuito alla di lei generazione, ne è la prima prova, in uno con elementi presuntivi di intuibile comprensione. La consapevolezza, infine raggiunta, dalla attrice di essere stata trattata come il figlio di un mammifero di specie diversa da quella umana (sebbene molti mammiferi, a ben vedere, pongono a lungo cura alla prole), è in sé una conseguenza lesiva della altrui condotta illecita e merita un risarcimento riequilibratorio. La relativa domanda va dunque accolta.
Tribunale di Venezia, con una nota sentenza del 30.6.2004
Si aggiungeva, a parere dell’organo giudicante, un ulteriore pregiudizio subito dalla figlia ad opera della condotta illecita del padre, rappresentato dalla consapevolezza raggiunta dalla ragazza di “essere stata trattata come il figlio di un mammifero di specie diversa da quella umana”.
Gli elementi della durata dell’inadempimento, della assenza di ragionevole motivazione alcuna, della intensità del dolo, hanno indotto il Tribunale di Venezia a liquidare il danno morale subito dalla figlia, dovendosi ricondurre la fonte del fatto illecito nella violazione di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, quale quello alla assistenza educativa morale e materiale.
Quanto al genitore affidatario o collocatario, è riconosciuto il diritto a percepire quanto dal medesimo speso ed impegnato in via esclusiva per il minore a causa del mancato esercizio del dovere di visita dell’altro genitore.
L’esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario non è solo facoltà ma anche dovere, da inquadrare nella “solidarietà degli oneri verso i figli’ degli ex-coniugi. Il genitore affidatario può domandare il rimborso delle somme versate in eccedenza per le mancate visite del non affidatario alla figlia disabile, giustificabili solo per caso fortuito o forza maggiore.
Corte di Cassazione, sentenza n. 1365 dell’8.2.2000
Di conseguenza, il genitore affidatario può domandare il rimborso delle somme versate in eccedenza per le mancate visite del non affidatario alla figlia disabile, giustificabili solo per caso fortuito o forza maggiore. Più precisamente, la pronuncia in esame ha riconosciuto il diritto del genitore di una figlia disabile al risarcimento del danno patrimoniale a titolo di rimborso spese sostenute per la cura e l’assistenza prestata in via esclusiva dalla mamma alla bambina nei giorni in cui il genitore non affidatario avrebbe dovuto tenerla con sé, come stabilito in sede di separazione.
Infine, non può escludersi che il disinteresse per un figlio e l’omissione dell’esercizio di visita nei suoi confronti possano talvolta costituire una così grave violazione o trascuratezza dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale e divenire altamente pregiudizievoli per il figlio stesso, allorché pongano seriamente in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, da indurre il giudice a pronunciare la decadenza dalla responsabilità del genitore inadempiente o da integrare la fattispecie del delitto di violazione degli obblighi di assistenza famigliare di cui all’art. 570 c.p..
In ordine a tale ultimo aspetto, in particolare, la Suprema Corte ha confermato la responsabilità di un genitore che, attraverso condotte persistenti di aperto rifiuto e totale disinteresse per il minore, aveva determinato il pericolo di indurre nello stesso sentimenti di colpa, di abbandono e di scarsa autostima, anche in ragione della sofferenza derivante dal confronto con i coetanei inseriti in contesti connotati da stabili relazioni familiari.
Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza famigliare non è integrato dai comportamenti omissivi contrassegnati da minimo disvalore o espressivi di mere disfunzioni dei rapporti intrafamiliari, ma soltanto dalle condotte che, attraverso la sostanziale dismissione delle funzioni genitoriali, pongano seriamente in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore.
Corte di Cassazione Penale, sezione VI, sentenza n. 51488 del 24.10.2013
In buona sostanza, il primo comma dell’art. 570 c.p. non punisce di per sé la condotta contraria all’ordine ed alla morale delle famiglie, bensì quella che abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi assistenziali inerenti alla responsabilità genitoriale ed alla qualità di genitore-coniuge.
I nuovi partner dei genitori
Il regime del diritto di visita non può prevedere il divieto che agli incontri sia presente il nuovo partner del genitore non affidatario: se la nuova relazione è ormai stabile, la conoscenza della compagna del padre non può essere vietata né può avere effetti negativi sullo sviluppo psico-fisico dei figli (Corte di Cassazione, sentenza n. 283 del 09.01.2009).
Allorché manchi in modo assoluto la prova che la frequenza del figlio con il nuovo partner del padre possa nuocere al minore, la nuova compagna non può essere esclusa dal rapporto di vita del padre con il figlio, dal momento che il convivente del genitore che abiti con questi in modo permanente, non è qualificabile come mero ospite dal momento che la famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 della costituzione.
“In assenza di pregiudizio per il minore e adottando le opportune cautele, il genitore separato ha diritto a coinvolgere il proprio figlio nella sua nuova relazione sentimentale, trattandosi di una formazione sociale a rilevanza costituzionale; ciò, a maggior ragione, dove il periodo di riferimento non sia quello immediatamente successivo alla separazione (e più delicato) ma quello divorzile a distanza di diversi anni dalla rottura della convivenza madre – padre. Peraltro, il divieto di frequentazione del nuovo convivente del genitore non collocatario, di fatto può tradursi in una lesione del diritto di visita inclusivo del pernottamento perché il nuovo partner non è un mero ospite che può essere allontanato tout court dalla casa; l’effetto sarebbe porre il padre di fronte ad una scelta che mette da una parte la nuova compagna e dall’altro il figlio; quanto troverebbe giustificazione solo se il preminente interesse della prole fosse esposto a rischio. Deve anche ricordarsi che la migliore letteratura psicologica sul punto ritiene che il graduale inserimento dei nuovi compagni, nella vita dei figli di genitori separati, corrisponda al loro benessere, dove madre e padre abbiano cura e premura di far comprendere alla prole che le nuove figure non si sostituiscono a quelle genitoriali.
Tribunale di Milano, ordinanza 23.3.2013
Ma attenzione: poiché la frequentazione dei figli costituisce non un diritto, m anche un obbligo dei genitori, può costituire violazione degli obblighi di visita stabiliti dal Tribunale imporre ai figli la presenza del nuovo partner.
Un padre, trasferito all’estero, al rientro in Italia aveva proposto alla figlia di trascorrere i fine settimana in casa della sua compagna, ma la figlia si era seccamente rifiutata.
A parere del Tribunale capitolino, il non avere pensato a rivolgere alla figlia un “invito esclusivo”, limitandosi a proporle la casa della compagna, è la prova che egli “è rimasto sordo, nell’incapacità di scindere il proprio ruolo genitoriale e gli inevitabili sacrifici che ne conseguono dalle proprie relazioni sentimentali, alla silente ma chiarissima richiesta di attenzione e soprattutto di esclusività – proveniente dalla figlia – lasciando che quegli stessi incontri, rimasti senza seguito, si trasformassero agli occhi della ragazza in un’ennesima cocente delusione”.
Da qui la condanna dell’uomo al pagamento della somma di 15 mila euro, da versarsi su un libretto di deposito intestato alla minore con vincolo al compimento del 18° anno di età, “per il pregiudizio arrecato alla minore con la propria omissiva condotta nell’esercizio dell’affido condiviso” (Tribunale Roma, sentenza 23.1.2015).
Diverso è il caso (peraltro più frequente) in cui il genitore non collocatario abbia una relazione sentimentale o un rapporto con altra persona senza non caratterizzato da stabilità temporale o da convivenza.
Considerato che sono proprio questi i questi casi in cui il genitore collocatario spesso si oppone e tenta di imporre la frequentazione della prole in presenza del solo altro genitore, senza terze persone, mancando allo stato una linea giurisprudenziale (almeno di legittimità), si ritiene che il Giudice potrà verificare caso per caso se, grazie alla buona genitorialità ed alla responsabilità del genitore, la frequentazione della nuova/o fidanzata o possa costituire per i minori motivo di pregiudizio o confusione o, se, invece, rappresenti per i bimbi stessi un elemento di normale e sviluppo del loro rapporto con il genitore.
Sovente, la questione viene risolta in sede di accordi separativi o su suggerimento stesso del Giudice, prevedendo che l’inserimento di terze persone nella vita dei figli durante la permanenza di questi con ciascuno dei genitori, avvenga gradualmente in modo tempisticamente scandito. Il resto, ovviamente, è lasciato al buon senso ed alla responsabilità genitoriale di ciascuno, che dovrebbe essere dotata della consapevolezza che i figli, per sentirsi sicuri e sereni, hanno bisogno di tempo per abituarsi a vivere nel nuovo contesto familiare che comporta necessariamente nuove regole, diverse dinamiche relazionali rispetto a quelle a cui sono abituati, un nuovo clima emotivo ed educativo.


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